Forse quando componeva le sue musiche chiuso nella sua stanzetta,  sognava il successo, ma è improbabile che si immaginasse l'ampiezza  internazionale assunta all'apice della sua carriera. Sta di fatto che  Josè Manuel Thomas Artur Chao, prima di diventare conosciuto in tutto il  mondo con lo pseudonimo di Manu Chao (ma per un periodo era conosciuto  come Oscar Tramor), era un semplice strimpellatore di 
chitarra.  Ora è invece è diventato la bandiera del movimento no-global, il  simbolo canoro dei diseredati del mondo e di coloro che contestano  l'attuale politica neoliberista che si va affermando nel globo e che,  dal cui punto di vista, sta distruggendo il pianeta e impoverendo larghe  fette della popolazione mondiale.  
Un'icona come tante, all'interno del variegato universo  contestatario, ma anche una responsabilità che questo simpatico  personaggio, nato a Parigi il 21 giugno 1961 (la madre è di Bilbao  mentre il padre è originario della Galizia), a volte sembra accogliere  con un po' di timore. L'amore per gli sfruttati, gli emarginati e i  perseguitati è comunque un'eredità di famiglia. Nella sua casa, il padre  già dava ospitalità a molti rifugiati delle dittature sudamericane. Il  piccolo Oscar aveva così l'occasione, fra una strimpellata e l'altra  della misera chitarrina tirata giù dal muro della sala a cui i suoi  l'avevano appesa come elemento decorativo, di ascoltare i discorsi di  intellettuali e artisti fuggiti dalle loro terre.  
Passano alcuni anni e il giovane Oscar, che ormai gli amici chiamano  semplicemente Manu, inizia a farsi notare nell'ambiente musicale  underground parigino suonando col gruppo rockabilly "Hot Pants", con i  "Joint de Culasse" e con i "Los Carayos". Nel 1987 con l'aiuto del  cugino Santi Casariego, già batterista degli "Hot Pants", realizza il  sogno di mettere insieme un gruppo aperto a ogni stile musicale, dal  rockabilly al reggae, dal rap allo ska, dalla salsa al flamenco. Fonda i  "Mano negra", prendendo il nome da un gruppo anarchico andaluso e  raccogliendo intorno a sé musicisti di origine spagnola, francese,  nordafricana. Il risultato è rappresentato da sonorità inedite e  alternative, soprattutto per le orecchie americane, abituate alla  brodaglia insapore delle tipiche emittenti radiofoniche degli anni '80.  
Grazie a coinvolgenti esibizioni dal vivo (il più delle volte  gratuite, specialmente nelle aree più abbandonate delle periferie  metropolitane francesi) e ad album particolarmente riusciti, come  "Puta's fever" (1989), "King of the Bongo" (1991) "Casa Babylon" (1993),  i Mano Negra riscuotono un successo che supera ogni aspettativa. La  fortunata avventura col gruppo però termina nel 1994, "
per esaurimento delle motivazioni originarie",  come dirà Manu stesso. Dà quindi avvio ad un altro progetto: chiamare a  raccolta vecchi e nuovi amici, trasferirsi tutti insieme in uno  spazioso appartamento della Gran Via di Madrid e dar vita a un  collettivo di musicisti. Il progetto si concretizza sotto il nome di  "Radio Bemba" e all'inizio sembra dare buoni frutti.  
Ma Manu, spirito nomade e ribelle, non riesce a star fermo. Saluta  gli amici con un "arrivederci" e parte per una lunga peregrinazione che  lo porterà a battere le polverose strade dell'Africa, prima, e  dell'America Latina, poi.  
Torna con uno zaino pieno di nastri sui quali ha registrato suoni,  voci, racconti delle culture che ha incontrato durante il cammino.  Chiama gli amici di sempre, più altri nuovi. Ognuno risponde alla  chiamata portando con sé il proprio strumento. Si chiude in sala di  registrazione insieme a loro e, in poco tempo, incide il suo primo disco  da solista, "Clandestino" (1998), album in cui prevalgono i ritmi  messicani, brasiliani o afrocubani, con canzoni cantate in varie lingue  (spagnolo, inglese, portoghese e francese), che raccontano tutti i suoi  vagabondaggi in musica. Doveva essere un album per pochi intimi, invece è  diventato un successo planetario, frutto oltretutto più del passaparola  che della solita accorta, martellante campagna di marketing.  
Il successo si ripete con il secondo album solista, "Proxima  estacion: Esperanza" (2001). La formula è la stessa del lavoro  precedente, ma qui sembra maggiormente presente uno stato d'animo  ottimista e festaiolo, anche se ovviamente non mancano le tirate contro  il potere oppressore e la sofferenza degli esclusi. Il sentimento di  Manu Chao verso i diseredati della Terra non è solo formale, ma anche  concreto: come quella volta che si è recato in Chiapas per tenere un  concerto per gli indios della comunità di Polho (vicini all'Esercito  zapatista di liberazione nazionale). Fermato dalle forze dell'ordine, il  povero Manu Chao è stato tenuto per alcune ore in camera di sicurezza  dalla polizia messicana. 
Rimesso in libertà in poco tempo, è tornato a cantare le sue  canzoni, così colorate e gustose, davanti al pubblico che ama così tanto  e da cui è così tanto ricambiato.