Se n’è andato improvvisamente, a luglio, il suo mese preferito, quello delle serate calde passate per ore a discutere di rugby e di vita davanti all’immancabile birra fresca, quello interpretato per acclamazione sopra il primo tavolo libero nelle club house di mezzo Veneto, con quella sua versione dell’omonimo pezzo del 1968 divenuta nell’ambiente molto più famosa dell’originale.
Massimo Longega, classe 1957, è morto ieri mattina a causa di un aneurisma cerebrale dopo circa 48 ore di ricovero in terapia intensiva all’ospedale Ca’ Foncello di Treviso, in un quadro clinico che i medici avevano fin da subito definito “gravissimo”. I primi commenti alla notizia, appena cominciata a girare sui social, erano tutti dello stesso segno, “ecco, un altro dei suoi scherzi”, e giù battute perché nessuno davvero voleva prenderla sul serio, dato che il soggetto era uno capace di scherzare su qualunque argomento regalando un sorriso destinato a trasformarsi in una risata incontrollabile.
Ed invece, tremendamente seria, la notizia lo era eccome: Massimo era per tutti “Nane”, uno dei più grandi formatori di rugbisti tra terraferma e laguna degli ultimi vent’anni, non tanto dal lato tecnico, ma nella capacità di aprire agli occhi e ai cuori di generazioni di adolescenti il mondo fatto di quella strana miscela di sport, di epica, di semantica e di linguaggio che fanno del rugby ciò che ancora è malgrado
la fine dell’epoca romantica sia già arrivata da un pezzo. Giocava terza linea, poi allenatore tra Mestre, Venezia, Mira, Silea, fondatore delle mitiche “Furie Rosse” prima, e delle "Mummie" poi, i primi una squadra ad invito tipo “Dogi”, le seconde il team degli Old del Veneziamestre.