ESSERE MAGRA NON MI RENDEVA FELICE, ESSERE 'GRASSA' SI'


Vi sto per rivelare un piccolo segreto.

Vedete questa ragazza, quella a sinistra? Sono io. In carne e ossa. Cinque anni fa, dopo tre gravidanze. Ero io.

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Questa foto è stata scattata al lago, due mesi prima del mio trentacinquesimo compleanno. Non ero mai stata più magra di così dall'età di diciassette anni. Tre settimane dopo averla scattata entrai da J Crew per comprarmi un paio di pantaloncini color khaki, e chiesi una taglia 8. La commessa mi fece gentilmente notare che ero più una taglia 4. Le dissi che era carina a dirlo, ma le chiesi comunque di portarmi una 8. E mi stavano larghi. Pesavo 55 chili, e non ero mai stata così magra dai miei quindici anni.


Eppure guardando questa foto dopo che era stata scattata, pensavo d'esser grassa.

Qui invece potreste riconoscermi:

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Questa foto mi è stata scattata due mesi fa, cioè quattro mesi dopo il mio quarantesimo compleanno, coi miei cinque figgli. Sono quella che sembra la mdre.

Nel corso degli anni il mio peso è andato su e giù. Molto in su, come si vede nella foto in basso. Molto in giù, come si vede nella foto in alto. Sono state una specie di montagne russe, solo molto meno divertenti. Ecco che cosa succede quando entri nel parco giochi della gravidanza, dell'allattamento al seno, della scuola per infermiere, degli esercizi che ti costringi a fare, dell'autocommiserazione, dell'autostima, e del sentirsi obbligati a fare tutto questo.


Ottenni il fisico della foto "dopo la cura" dopo aver perso una bella bambina; dopo esser stata sposata, divorziata, risposata; dopo una mezza dozzina di traslochi; dopo essermi rotta una gamba e dopo essermi rotta un'anca; dopo aver fatto nascere una dozzina di bambini non miei come ostetrica; e dopo aver accompagnato più di una dozzina di persone verso la loro morte come infermiera in un ospizio.


L'altro corpo che vedete qui, quello "fisicamente fico", l'ho ottenuto nutrendomi di "ben" mille calorie al giorno; correndo 35 miglia ogni settimana (dieci la domenica); dormendo una media di tre ore al giorno; contando ogni boccone che mangiavo, fino al singolo pomodorino ciliegino; appuntando il mio peso ogni giorno per un anno; correndo su e giù per le scale dell'ospedale durante i miei turni di dodici ore; privandomi delle mestruazioni; negandomi il cibo quando avevo fame; negandomi il sonno.


Confusi?


Forse però state iniziando a capire dove io voglia andare a parare. 1. "Wow, eri veramente FICA. Che cosa ti è successo?". 2. "COME diamine hai fatto a pesare così tanto?". 3. "Aspetta un attimo, perché nella foto del 'dopo la cura' sei più brutta di prima? Non è così che funziona di solito".


Magari alcuni di voi diranno che sono grassa.

Magari altri diranno che sembro felice e in salute.

Sono entrambe le cose.


Vorrei cancellare dalla faccia della terra questo stereotipo. Perché. È. Una cazzata. Essere magra non mi rendeva felice. Avere la tartaruga significava solo, beh, avere la tartaruga. Avere una taglia 4 rendeva molto più semplice lo shopping e, presumibilmente, faceva sì che i vestiti mi stessero "meglio". Perché, diciamocelo, i vestiti vengono prevalentemente disegnati per la gente che indossa una taglia 4. La taglia 4 faceva sì che gli estranei si girassero a guardarmi. Ripetutamente. Faceva sì che al supermercato gli uomini ci provassero con me, che i medici all'ospedale mi facessero proposte indecenti. Mi faceva concentrare ossessivamente su ogni dettaglio del mio corpo, dalla pancia piatta alla definizione dei contorni dei miei bicipiti.

Mi faceva essere tante cose.

Ma non mi faceva felice.


Mi rendeva ossessionata dai miei esercizi in palestra, dal tempo che riuscivo a dedicare alla palestra fra il prendermi cura di tre bambini piccoli e i turni notturni di dodici ore. Mi faceva googlare le calorie contenute in ogni alimento. Mi faceva mangiare il cibo che non mi piaceva (tortini di riso, burro spray), e stare alla larga dal cibo che amavo (soprattutto le torte). Tutto ciò mi rendeva magra.

Ma non mi faceva felice.

Che non è come a dire che le persone magre non siano felici (ovvio), ma è come a dire che essere magri non è: A, una cura per la tristezza o B, una garanzia di felicità.


È come a dire quanto segue: la felicità non richiede l'esser magri. Esser grassi non implica l'esser tristi.

Erano settimane che stavo scrivendo questo pezzo nella mia testa. E oggi mi ritrovo a leggere questo. Quel post è stato il campanello d'allarme che mi ha convinta a concludere e pubblicare. Ci vuole più gente che parli per farci sentire sui media, al di sopra del frastuono rappresentato dalle pillole dimagranti, dalle cure dimagranti miracolose e dalle operazioni di chirurgia plastica per riparare ciò che non è rotto.

Quando mi hanno cambiato la terapia (per affrontare il mio disturbo bipolare) ho messo su altri quattro chili e mezzo dall'ultima foto scattata. Gran parte del mio guardaroba non mi entra più, e la cosa mi avvilisce. Non farò finta che infilarmi dentro un paio di jeans di due taglie di meno sia una cosa divertente. Non lo è. È un po' come fare una salsiccia.

Ora però riesco a cogliere i drastici cambiamenti apportati non solo al mio corpo, ma anche alla mia mente. C'è una quiete, una gioia e una pace che non avevo mai avvertito prima. Mi è costata 4 chili e mezzo. Quattro chili e mezzo sono un prezzo insignificante a confronto con la mia disponibilità a lasciar correre, a sedermi coi miei bambini, a dormire.
Sono felice. Sono grassa e sono felice.

Vuoi scandalizzare la gente? Provalo anche a casa: sii grassa e felice. Sii grassa senza dover chiedere scusa a nessuno. Indossa un bikini e fallo con naturalezza. Mangiati la pizza e il gelato e goditeli. Beviti la tua vita e una bottiglia di vino, e non chiedere scusa a nessuno.
Il mondo ti vuole magra. C'è tutta un'industria costruita intorno al tuo senso d'insicurezza. È tutta la stessa m***a. Il mondo vuole farti credere che magra e bella significhino felice. Vuole farti credere che l'amore e la vita te li meriti solo se sei bella. E quelle belle certo non sono grasse.
O forse sì.

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fonte: huffingtonpost.it (traduzione Stefano Pitrelli)
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