Alla base delle motivazioni, una sentenza della Corte Costituzionale che ha annullato 767 nomine di dirigenti del Fisco, tra cui alcuni dei firmatari delle cartelle incriminate, perché assunti senza aver indetto un regolare concorso pubblico.
La tesi su cui si fondano i ricorsi dei contribuenti, in molti casi già accolti da giudici di primo e secondo grado in molte regioni italiane, è che una volta decaduto il dirigente firmatario di un atto, la sigla apposta in calce alle cartelle non abbia più alcun valore.
La Commissione tributaria della Lombardia, in particolare, ha stabilito che, trattandosi di un caso di difetto di potere, questo può essere sollevato anche oltre i termini dell’impugnazione e in qualunque grado di giudizio. E’ inoltre da considerare che la sentenza della Corte Costituzionale ha efficacia retroattiva e dunque investe anche gli atti ricevuti dal contribuente prima della decisione della Consulta.
L’Articolo 42, ai commi 1 e 3 del Dpr 600/73 e l’articolo 56, comma 1, del Dpr 633/72 stabilisce, in modo chiaro, che gli atti devono essere firmati da un dirigente a pena di nullità e, di conseguenza, se il dirigente è decaduto, l’atto da lui firmato può considerarsi nullo.
Tra gli atti impugnabili vi sono l’avviso di accertamento, l’avviso di liquidazione delle imposte, gli atti riguardanti le operazioni catastali, gli atti della riscossione e quelli processuali come i ricorsi in appello dell’Agenzia dell’Entrate.
Per tutelare i propri diritti è dunque necessario verificare che la firma in calce all’atto notificato sia di uno dei 767 dirigenti decaduti e presentare ricorso (o integrare quello già eventualmente in atto) .