Mica facile se sei un ragazzo timido, con qualche problema di “ansietta”, che viene assediato dai fan, armati di smartphone, persino sotto la doccia. A volte vorrebbe diventare invisibile...
Sorseggia una tazza di caffè americano mentre mi aspetta pensoso seduto in poltrona, in penombra, sul fondo di un locale milanese che potrebbe essere il salotto di casa sua. Il ruolo di popstar internazionale – il suo cofanetto di hit, Tzn, è un supersuccesso in Spagna oltre che in Italia; il 20 giugno affronterà a Torino la prima data del suo tour negli stadi – a volte collide con quello di ragazzo garbato, ex timido, ex sovrappeso, da sempre in lotta, come e più di altri, per conquistarsi identità e un posto nel mondo. Anche oggi, a 35 anni, quasi 15 dall’esordio, mi dice come liberandosi da un peso che certe cose gli costano una gran fatica.
Andare in tv è una di queste, anche se sabato 18 farà il giudice nella seconda puntata di Amici...
«Prima di cominciare a guardare i talent li disprezzavo, oggi penso che siano ottimi prodotti tv, anche se so bene che un ragazzino non diventa il più grande cantante italiano in due mesi».
Una volta ha detto: il pop è la cosa più difficile che c’è.
Vero. Non hai scorciatoie. Funzioni e duri nel tempo se sei sintetico e trasparente. E poi non puoi nasconderti dietro frasi incomprensibili o tappeti sonori. Dal vivo, poi, questo è più vero che mai.
Ce l’ha una canzone che la mette in crisi più di altre?
Il ritornello di Sere nere, imbroccarlo è ogni volta una scommessa, tra due parole c’è un’escursione di un semitono, ha presente? Sbagliarlo è un attimo, ma è anche il pezzo che non posso evitare. Del resto il regalo più grande che puoi fare a qualcuno, credo, è quello che ti mette anche in difficoltà.
Una canzone che dopo tanti anni l’annoia, invece?
Sinceramente? Xdono mi ha un po’ rotto le scatole. Le devo tanto e la metto ancora in scaletta ogni volta, però capisco che il pubblico non trasale più. Poi ci sono le canzoni sbagliate: le riconosco dalle code che si formano al bar appena dopo il primo giro di chitarra. E quelle dal vivo meravigliose ma incantabili, tipo La differenza tra me e te, a proposito delle quali ti chiedi: ma questa perché diavolo l’ho scritta?
Ha anche detto che per lei suonare dal vivo è assieme una delizia e un tormento.
Già. Però il disco inteso come supporto fisico è diventato “non interessante”, salvo rari casi in cui si trasforma in oggetto di culto. La musica piace ancora molto ancora alle persone, che però sono abituate ad ascoltarla gratis o quasi. Il live ha di bello che non si può clonare, però salire sul palco per me è ogni volta una scommessa.
Addirittura?
Provo un forte senso di mancato autocontrollo, sento che tutto quel che ho imparato non mi serve a nulla. Per fare un concerto mi ci vogliono preparazione atletica, forza, respiro, equilibrio, ma ancora non mi bastano. In camera mia o in sala prove sono Jay-Z, il Boss, il Re Leone. Non esiste nessuno più sicuro di me. Invece poi sul palco divento un’altra cosa, consapevole del fatto che mi manca sempre un pezzettino, perché me lo brucio con il nervosismo.
Forse dovrebbe essere più cialtrone.
È che sono cresciuto pensando al mondo come incasinato, difficile, doloroso, non mi è ancora riuscito di cambiare approccio. E poi se sdrammatizzassi troppo mi sembrerebbe di non rendere grazie a quel che mi è stato dato. Però poi certo, guardo Elisa e Giorgia e penso: mi piacerebbe essere come loro, almeno per un giorno.
Come loro, e cioè?
Più disinvolte di me. Certe cose poi mi paralizzano, tipo il palco dell’Ariston, a Sanremo: anche se ci vado da ospite e non sono in gara resta la mia sfida più grande.
Non male, per un timido, fare concerti negli stadi.
Il mio manager mi ha convinto dicendomi: «In questo modo con sette, otto date te la cavi. Se invece fai i palazzetti ce ne vorranno 50». Mi ha dato una motivazione forte.
Cosa pensa prima di salire sul palco?
Che andrà male. Poi comincio e i primi tre, quattro pezzi sono drammatici, poi comincio a capire la situazione e il pubblico, incomincio a capire dove andare sul palco, e dove invece non andare. La tensione si rialza nei momenti top, ma alla fine sono contento e mi congratulo con me stesso: «Stiamo crescendo, signor Ferro». Ma la volta dopo sono da capo. Ho un rapporto molto conflittuale con la fama.
Si era capito. Per sfuggire ai fan ha anche cambiato casa diverse volte.
Roma è impossibile, ora sto tra l’Inghilterra e Milano, ma anche qui mi sembra di essere sempre seguito. Postano sui social mie foto mentre dormo in aereo, mentre bevo il caffè. Mi sento sempre geolocalizzato. Una volta ho litigato con un tizio che mi ha fotografato mentre facevo la doccia in palestra.
Addirittura?
Tra l’altro non capisco che gusto ci sia. Se ti limiti a guardarmi, nel tuo ricordo resterò bello per sempre. La luce impietosa di uno scatto rubato invece inchioderà per sempre i miei difetti. Penso alla volta che mi sono rotto una caviglia e sono uscito dall’ospedale col gesso, addolorato, stravolto. Fuori c’era uno con lo smartphone pronto a immortalarmi, gliene ho dette di tutti i colori. Ma il momento più basso è stato quando mi hanno chiesto: «Posso farmi un selfie con te?» alla camera ardente di mio nonno.
Se potesse indossare il mantello dell’invisibilità di Harry Potter cosa farebbe?
Probabilmente qualcosa di semplice, tipo andare al parco mano nella mano con il mio fidanzato.
Deduco che ci sia una persona speciale, in questo momento, nella sua vita.
No, parlavo in generale. Il mio grande amore (durato quattro anni, ndr) non l’ho ancora rimpiazzato. Anche in amore ho sempre questa specie di ansietta, tendo a trasmetterla a chi mi sta accanto. Avrei bisogno di una persona stabile, che sappia esorcizzarmi. Anche a casa sono così: non mi godo lo spazio ma penso ai problemi che ancora devo risolvere.
Dicono che l’artista per creare debba avere delle questioni irrisolte.
Allora sono a posto fino al 2040. A parte gli scherzi: ripensando al passato, mi rendo conto di aver sprecato un sacco di tempo a dedicare attenzione alle cose che mi mancavano e troppo poco a quelle che invece già avevo. E poi ho sempre la sensazione che finita una crociata ne cominci un’altra.
Qualche trucco, negli anni, l’avrà anche imparato.
In Inghilterra faccio training autogeno di gruppo. Nessuno mi conosce, nessuno sa che lavoro faccio. Ho 90 minuti per scomporre le mie ansie: sono preziosi. E poi cerco di non imbarcarmi in più imprese contemporaneamente, di affrontare una cosa alla volta. In ogni caso, da quando ho dichiarato la mia omosessualità sto meglio. Ho fatto un favore a me stesso.
Da questo punto di vista anche in Italia abbiamo fatto qualche progresso.
Qualcuno, sì. Però siamo ancora un Paese ipocrita. Quel che dico è: se sei contrario alle unioni gay, io ti rispetto. Ma per piacere non fingere di non sapere che il tuo vicino di casa, tuo fratello, tuo figlio sono omosessuali...
(Proprio mentre stiamo per salutarci due ragazze si avvicinano a Tiziano e gli chiedono di potersi scattare una foto assieme. «Così mio figlio avrà un tuo ricordo ancora prima di nascere», dice una di loro, incinta, indicandosi la pancia. Lui abbozza un sorriso, annuisce, poi mi chiede “Xdono” con gli occhi).