CASSAZIONE: LA PAUSA CAFFÈ TROPPO LUNGA PUÒ COSTARE IL LICENZIAMENTO
La pausa caffè può costare il posto di lavoro ai dipendenti. A stabilirlo è la Corte di Cassazione con una sentenza molto dura ma che non si rivolge a tutti coloro che fanno un break di qualche minuto: la sanzione colpisce quei dipendenti che, allontanandosi per un caffè, creino rallentamenti al lavoro.
RALLENTAMENTI NELLE OPERAZIONI In questo modo la sezione lavoro (sentenza 7819) ha convalidato il licenziamento inflitto dal Credito Emiliano ad un impiegato di banca siciliano che, tra le altre inadempienze, il 27 novembre del 1997 aveva abbandonato il posto di lavoro per recarsi al bar. Come segnala la Suprema Corte, l'allontanamento di I. B. per la pausa caffè era avvenuto senza chiudere la cassa, lasciando in sospeso un'importante operazione finanziaria di 250 mila euro. Da qui il licenziamento convalidato dalla Corte d'Appello di Caltanissetta nel novembre del 2010. Inutile il ricorso del banchiere in Cassazione volto a dimostrare la severità dell'espulsione in quanto, ha sua detta, la banca autorizzava i dipendenti ad allontanarsi per un break e che in ogni caso il suo allontanamento «non aveva sortito alcun effetto sui 15 clienti presenti determinando al più un leggero ritardo nelle operazioni». Tra l'altro, faceva notare la difesa del dipendente, mentre lui si era allontanato operavano più casse.
LICENZIATO E MULTATO La Cassazione ha bocciato la tesi difensiva e ha evidenziato che «la giusta causa di licenziamento di un cassiere di banca, affidatario di somme anche rilevanti, deve essere apprezzata con riguardo non soltanto all'interesse patrimoniale della datrice di lavoro ma anche, sia pure indirettamente, alla potenziale lesione dell'interesse pubblico alla sana e prudente gestione del credito». Inoltre, la Suprema Corte fa notare che «la censura alla decisione impugnata di non avere tenuto conto che al momento dell'allontanamento» dell'impiegato «per la pausa caffè, operavano più casse, non è decisivo perché la presenza di una pluralità di casse non esclude comunque che il venir meno di una cassa rallentava le operazioni delle altre sulle quali venivano dirottati i clienti in fila che comunque erano in numero cospicuo né incide sulla valutazione della negligenza della condotta del dipendente espressa nella sentenza di secondo grado». L'ex dipendente del Credito Emiliano è stato inoltre condannato a pagare più di 3.500 euro di spese processuali.
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